Qualche giorno fa abbiamo partecipato ad un incontro con Antonio Campo Dall’Orto, Vicedirettore di MTV International e figura di grande rilievo nel panorama televisivo (e non solo, visto il recente intervento alla convention di Matteo Renzi) italiano.
Uno dei principali temi affrontati è stata la seguente domanda: “Ha ancora senso parlare di marketing?”
Se ci riferiamo ad esempio alle ricerche di mercato, è molto cambiata la modalità utilizzata dalle (grandi) aziende di ottenere dati sul gradimento dei clienti per fare le proprie mosse di conseguenza.
Inizialmente ci si rivolgeva ad interviste dirette ai clienti che, ancora piuttosto scevri da condizionamenti, fornivano risposte attendibili. Si è poi passati ai “focus group”, cioè riunioni nelle quali persone prese a campione si esprimevano liberamente su argomenti dati.
Il problema sta nel fatto che le persone sono sempre più smaliziate rispetto alle domande poste: questa presa di coscienza fa sì che anche risposte date in buona fede siano in realtà totalmente irrilevanti come indicazione per i reali comportamenti futuri.
Un “sì” o “no” forniti in un contesto di ricerca razionale possono essere confermati o completamente ribaltati nella vita reale, senza possibilità di previsione.
Il “marketing” si sta rivolgendo all’antropologia, ove non alla psicologia e medicina, per capire quali siano le aree del cervello che vengono attivate in conseguenza di determinati stimoli. In questi casi sono sempre più usati i sistemi di Brain Scanning che consentono di valutare le risposte a livello subconscio: è il Neuromarketing, non una novità, ma ne parleremo in un prossimo futuro.
Campo Dall’Orto afferma che oramai il termine “Marketing” può sì andare a definire i comportamenti di ricerca e comunicazione aziendale nel loro complesso, ma è svuotato nel suo senso classico di indagine e valutazione di mercato: il proliferare dei mezzi di comunicazione, la frammentazione della società e il cambiamento nei comportamenti non rendono più possibile metodologie di lavoro classiche. Quantomeno non le rendono attendibili.
Per il vicedirettore di MTV, il marketing è oggi più che mai l’osservazione della realtà (sempre più globale e polarizzata in particolare nella generazione dei Millennials), l’analisi dei trend sociali e l’adeguamento agli stessi, pur in una visione strategica.
Del resto, è difficile dargli torto sapendo che tra un mese, una settimana o un giorno potrebbe uscire un nuovo apparato tecnologico che in tre mesi cambia la comunicazione mondiale, oppure nuovi sistemi di navigazione su internet o quant’altro che possono stravolgere tutto.
Pensiamo all’IPad e alla scelta di Apple di escludere la lettura dei file in Flash: fino a un anno fa Flash era ancora di gran moda per chiuque volesse un sito “trendy” (lasciamo stare l’utilità e le limitazioni), ora non lo vuole più nessuno e chi ce l’ha vuole dismetterlo. Ne parleremo in un prossimo post, ma una cosa che è stata sulla cresta dell’onda per più di 10 anni sta scomparendo in pochi mesi, e non è il primo caso.
Oramai la comunicazione viaggia su tutto e su niente, e questa complessità richiede sì rapidità di risposta ma anche una capacità di analisi di scenario piuttosto che sulle singolarità.
Sorge un altro grande punto di domanda: ha senso una facoltà di “scienze delle comunicazione” impostata come un corso di studi tradizionale? Chi è l’esperto di marketing? Che competenze deve avere?
Psicologia, immagine, gestione commerciale, tecnologie (anche se questo è un termine definito “vecchio”), una grande apertura mentale e flessibilità, conoscenza del mondo, di svariati mercati e delle loro dinamiche, del mondo dei media e delle loro dinamiche, anche economiche. Insomma, tanta roba, forse troppa. L’alternativa è poter riuscire a lavorare in rete, integrando diverse competenze ma anche qui, soprattutto per un italiano tendenzialmente auto-referenziale, non è scontato.
Per le aziende invece è importante tornare all’idea di core business sviluppando bene prodotti e servizi, cercare di comunicarli nella maniera più trasparente e al maggior numero di persone possibile, in modo originale ma soprattutto qualitativamente alto (anche nella cura dei dettagli).
Attraverso i social network il passaparola è tornato (se mai ha perso questo ruolo) ad essere il principale veicolo per il successo o il fallimento di qualsiasi iniziativa: insomma, usando un termine un po’ impolverato ma che sembra sorprendentemente di attualità, ora siamo veramente nel villaggio globale!
E voi cosa ne pensate?