Englishman in Venice

Un copywriter inglese in Italia: intervista a Ivor Coward

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Oltre vent’anni fa un promettente copywriter lasciò la “Perfida Albione” per trasferirsi a Venezia e fondare Lexicon Translations. Laureato in economia presso l’università di Leicester, Ivor Coward ha maturato una lunga esperienza in vari ambiti delle traduzioni e in particolare nella scrittura pubblicitaria. Partecipa alle attività formative dell’Institute of Copywriting di Londra. Dal 2000 è anche Console Onorario per il Regno Unito per le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia.

In un sistema globale le differenze linguistiche spesso sono sottovalutate: si pensa che una volta scritto un testo in italiano sia sufficiente una corretta traduzione per comunicare verso altri mercati, ma nel processo spesso vanno persi significati, sfumature e giochi di parole di fondamentale importanza.

Per capirne di più sull’argomento abbiamo posto alcune domande ad Ivor.

Quali sono le principali differenze nell’approccio a un progetto di copywriting tra l’italiano e l’inglese?

Non posso offrire una risposta univoca perché, vivendo in Italia, la maggior parte delle richieste che ricevo proviene da clienti italiani che hanno già effettuato investimenti pubblicitari affidandosi ad agenzie del settore e che necessitano quindi di una “traduzione” di testi già messi a punto nella lingua di partenza.
Ma non può trattarsi di una traduzione pura e semplice perché il target di riferimento è diverso ed è necessario inserire un contenuto specifico che sia interessante e accattivante anche per il target straniero.
Il primo passo consiste proprio nel cercare di far comprendere al cliente questo aspetto, nonostante i maggiori costi insiti nell’attività creativa che sono chiamato a svolgere.
Un esempio che utilizzo di frequente in questa fase è quello di una nota pubblicità: come si potrebbe mai rendere in inglese uno slogan come “Altissima Purissima Levissima”?

In italiano il gioco sta tutto nell’utilizzo del superlativo assoluto già presente nel nome del prodotto, ma limitare il lavoro a una traduzione pura e semplice porterebbe a dei risultati risibili. Spiego quindi che nella fattispecie il mio lavoro sarebbe quello di analizzare il tema e il messaggio pubblicitario (qualità, purezza) e di utilizzarlo in un modo che possa essere interessante e fruibile per un pubblico quale quello inglese (per esempio suggerimenti per stare bene in salute). La fase successiva sarebbe quella di proporre una serie di soluzioni da cui il cliente possa attingere confrontandosi con me per le diverse implicazioni che ciascun messaggio può contenere.

Avere la disponibilità del materiale grafico e dei commenti dei copy italiani costituisce sicuramente un vantaggio economico sia per chi deve trasporre il testo nella lingua straniera sia, in ultima analisi, per il cliente. Non sempre il cliente sembra rendersene conto in anticipo, ma in genere riesce a cogliere l’importanza della mia richiesta, perché è evidente che avere determinate coordinate quali per esempio il target specifico, la storia dell’azienda, le tecnologie di cui dispone eccetera può evitare di impostare il mio intervento su binari non corretti.

I clienti italiani influenzano/interferiscono con il tuo lavoro?

Decisamente sì. Il maggior vincolo viene dal budget del cliente e da quelle che sono le sue strategie di marketing. Tanto per citare un esempio,un lavoro rivolto a un pubblico britannico sarà necessariamente diverso rispetto a quello che invece è destinato a un pubblico internazionale di lingue diverse. L’umorismo tipico della pubblicità inglese non può essere applicato tout-court in un approccio internazionale. In questo secondo caso sono tenuto a cercare espressioni che siano accettabili sotto il profilo culturale nei paesi di destinazione e che non possano dar luogo a situazioni “imbarazzanti”. Una Mitsubishi Pajero, tanto per dirne una, non sarebbe vendibile in Spagna perché il vocabolo Pajero in spagnolo ha delle connotazioni ben precise. Ecco perché il nome è stato cambiato in Montero.
E poi c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione: l’uso che gli Italiani hanno fatto nel tempo di parole straniere. Parlare di “sexy shop” in inglese non ha senso perché significa che il negozio è sexy, non che vende oggetti erotici. “Escalation” non significa un percorso di successo, anzi è un termine che ha una connotazione negativa.

Analizzare, sfrondare, adattare, trovare denominatori comuni sono tutte attività che richiedono tempo e che devono essere svolte possibilmente assieme al team coinvolto nelle ricerche di mercato.
In altre parole tradurre testi copy significa mettere in gioco numerose capacità diverse e può richiedere uno sforzo anche maggiore rispetto a quello richiesto partendo da un foglio bianco.

Tornando all’esempio di quella pubblicità giocata sui superlativi che non può essere resa in inglese, io così su due piedi, senza aver fatto uno studio specifico, direi che nella mia lingua si potrebbe far leva su allitterazioni o giocare in qualche modo con i suoni per ricreare quella stessa connotazione di eccezionalità.

Il cammino della “traduzione” di testi copy è cosparso di trappole e quanto più è vasto e diversificato il pubblico target, tanto più numerosi sono i tranelli. E oltre a questo c’è, naturalmente la necessità di far capire al cliente perché si sono dovute eliminare tante soluzioni interessanti suggerite dal copy team italiano.

Cosa consente di fare l’italiano che la lingua inglese non permette, e viceversa?

Un esempio l’ho già offerto prima con la pubblicità giocata sugli “-issimi.” Aggiungerei che l’allitterazione, per esempio, è sentita molto di più da un pubblico di lingua inglese che non da uno italofono. Le figure retoriche vanno applicate usando criteri differenti. In italiano si possono poi usare facilmente le rime, mentre la mia lingua offre meno spazio ai giochi di parole. Insomma l’impostazione è diversa e va comunque modulata in base al pubblico target (UK, USA o generalmente straniero).

Quanto importante è il suono di una frase in uno slogan, e quali sono le differenze tra le due lingue da questo punto di vista?

Già dagli esempi che ho offerto si evince facilmente l’importanza della musicalità che deve scaturire dallo slogan, una musicalità che è diversa per ogni lingua.

La semplice traduzione dall’italiano all’inglese di uno slogan o viceversa possono essere mal interpretate?

La risposta è affermativa e da ciò deriva la necessità di partire da una critica del testo originale nell’ottica della trasposizione del messaggio più adatto nel modo che meglio colpisce l’immaginario del target. Prendiamo l’esempio della pubblicità dell’acqua minerale San Benedetto, tutto incentrato sulla lievità del volo della rondine, sulla sua connotazione di “primaverile”, e quindi di rinascita.
La traduzione diretta può costituire una prima fase di lavoro, per cercare di analizzare al meglio il messaggio e gli strumenti posti in essere per trasmetterlo. Ma fermarsi a questa fase si traduce nella migliore delle ipotesi in uno spreco di denaro, nella peggiore in un messaggio sbagliato e quindi nocivo per l’azienda committente. Tanto per dare un esempio, è inutile cercare di forzare un messaggio che allude per esempio al gioco del calcio in una pubblicità destinata al mercato statunitense, così come non avrebbe senso riferirsi per un pubblico italiano al gioco del cricket tipicamente legato alla cultura inglese. E laddove entrambi i popoli conoscono per esempio il golf, il significato sociale che questo sport ha è ben diverso nei due paesi. Un altro esempio: nella traduzione di una pubblicità di un SUV, a un Tedesco si potranno decantare tutti gli accorgimenti tecnici volti al risparmio di carburante; in Italia il mercato dei SUV è destinato a una fascia di popolazione che vede questo mezzo come uno status symbol e fare leva sul risparmio potrebbe sortire un effetto deleterio. La bella immagine della rondine di cui parlavamo prima funziona in Italia dove la parola rondine ha un significato univoco, ma in inglese “swallow” vuol dire anche inghiottire, così come si fa con una medicina. E allora tradurre non basta, anzi non si deve. Bisogna cambiare.


Lexicon Translations

Fondata nel 1992 da Ivor Coward e Alessandra Caberlotto, Lexicon ha offerto i propri servizi a clienti di indubbio prestigio, da consorzi internazionali in campo scientifico-tecnologico ad alcuni maggiori studi legali al mondo.
Nel tempo Lexicon ha incentrato la propria attività su alcuni settori di nicchia quali la traduzione di testi copy a piena soddisfazione di prestigiosi clienti internazionali quali The North Face, Lotto, San Benedetto, Lexus. Ottimi anche i risultati raggiunti per importanti gruppi nazionali che attraverso agenzie che attraverso le maggiori agenzie di web marketing hanno affidato a Lexicon la traduzione dei propri siti web (Trenitalia, Unicredito, Autostrade Italiane eccetera).

www.lexiconline.it

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