Uno dei nostri più fidati ed esperti collaboratori ama affermare che “il marketing è la guerra in tempo di pace”.
Per quanto apparentemente radicale e politicamente scorretta, questa similitudine ha molti punti di interesse. Come per gli eventi bellici, il marketing prevede:
– una strategia generale e una serie di tattiche
– la pianificazione delle risorse
– la definizione dei fronti di attacco
– la propaganda
– la prontezza nel reagire a situazioni impreviste.
Il teatro di guerra è il mercato, gli avversari i concorrenti, l’obiettivo il cliente.
Questo qualora non si preferisca una strategia collaborativa e negoziale, nel qual caso la bellicosità lascia il campo alle capacità diplomatiche.
Premettendo che aborriamo qualsiasi violenza, ci siamo curiosamente imbattuti in una ricerca del politologo Ivan Arreguin-Toft che ha analizzato i risultati delle guerre negli ultimi duecento anni tra nazioni forti e deboli, con un rapporto di forza di 10 a 1 per armamenti e popolazione.
Incredibile ma vero, le nazioni più potenti hanno avuto la meglio solamente nel 71,5% dei casi. Le principali ragioni riguardano le ragioni dell’entrata in guerra (stati lontani che intervengono per ragioni di stabilità geopolitica, vera o presunta, senza un forte appoggio popolare), la conoscenza del territorio, il supporto della popolazione civile, la scarsa motivazione delle truppe e la difficoltà nel gestire eserciti numerosi.
Ma non è tutto: analizzando più approfonditamente i suoi dati, Arreguin-Toft ha scoperto che laddove le nazioni più deboli abbiano adottato strategie non convenzionali, la loro percentuale di successi cresceva ad un impensabile 63,6%.
Per spiegarlo il politologo ricorre alla storia biblica di Davide e Golia: inizialmente Davide indossa una pesante maglia di ferro, un elmo di ottone ed ha una spada, così come Golia. Rendendosi conto che con quell’equipaggiamento non riesce a muoversi, si libera del peso e raccoglie cinque pietre per la sua fionda, che risulteranno essere la sua arma vincente.
Quando chi è svantaggiato riconosce la sua debolezza e adotta strategie non convenzionali, non seguendo le regole dei più forti, le loro possibilità di vittoria aumentano esponenzialmente “anche quando tutto quello che crediamo di sapere sul potere ci dice che dovrebbero perdere”.
Arreguin-Toft porta altri esempi a supporto dei propri risultati, come le vittorie conseguite da Lawrence d’Arabia contro i Turchi, ottenute adottando tattiche di disturbo e di guerriglia e conquistando Aqaba con un attacco inaspettato.
Altri casi tristemente noti sono la guerra del Vietnam, dove gli Statunitensi si impantanarono in un territorio assolutamente sconosciuto, e il più attuale Afghanistan, con problematiche analoghe.
Tornando all’affermazione iniziale, non si può fare a meno di notare come in quasi tutti i casi di conflitti vinti dai più deboli, siano state decisive tattiche non di scontro frontale ma di guerriglia. Sullo stesso presupposto si basa il “Guerrilla Marketing”, teorizzato per primo dall’americano Jay Levinson nel lontano 1983.
Il Guerrilla Marketing fornisce alle piccole e medie aziende vari strumenti per contrastare il potere dei più forti, attraverso l’applicazione di strategie che questi ultimi, a causa delle loro dimensioni strutturali, non possono mettere in atto.
Un esempio? Negli USA una piccola libreria aveva sfortunatamente visto aprire vicino a se le filiali di due enormi concorrenti. Un giorno, il proprietario notò che uno dei due negozi aveva esposto un cartellone: “E’ il nostro anniversario! Sconti del 50%”. Per controbattere, il secondo concorrente aveva a sua volta esposto un banner: “Svuotiamo i magazzini! Prezzi ridotti del 60%”.
Entrambi i cartelloni sovrastavano per dimensioni la vetrina della sua libreria: adottando una tecnica di Guerrilla Marketing, il proprietario espose a sua volta un cartello con scritto: “Entrata principale”, sfruttando così la pubblicità dei concorrenti per attirare nuovi clienti.
Negli ultimi anni, la diffusione di Internet ha introdotto una serie di nuove possibilità per promuoversi e crescere a costi relativamente contenuti, consentendo di emergere a chi ha qualcosa di nuovo da proporre.
Ciò però non significa che una buona idea basti per avere successo: servono tanto lavoro, pazienza, professionalità nel sapere come proporla ed un impegno economico sufficiente a poter lavorare con efficacia.
La novità è che, adottando strategie di promozione non convenzionali che integrino vari media, oggi è possibile ottenere grandi risultati anche per le aziende che non si possono permettere grandi investimenti.