Lo strano caso del Dottor Market

Bel tempo, pioggia, bel tempo, pioggia… Crisi, ripresa, Grecia, e poi chissà…?

Mai come in questo periodo le notizie politico economiche sono discordanti e ingessano letteralmente gli investimenti in qualsiasi forma di sviluppo. Insomma poche aziende hanno voglia di rischiare, anche se:
ne hanno la possibilità perché l’andamento generale degli affari sta migliorando
ne hanno bisogno perché la comunicazione e i modi per comunicare stanno cambiando velocemente
– in qualche caso non hanno scelta perché o cambiano marcia o non si agganceranno mai ad un trend di ripresa (da non confondersi con la crescita dei volumi che è un’altra cosa non necessariamente positiva)

Allora, che si fa?
Un fenomeno molto interessante, strettamente connesso alla progressiva “socialnetworkizzazione” (brrrr che brutta parola, però rende!) del mondo, è il ritorno a forme più o meno evolute di baratto e di affiliazione: se siamo complementari, ci mettiamo a fare qualcosa insieme, dividiamo le spese, investiamo complessivamente meglio e dividiamo anche il rischio.

Insomma, anche psicologicamente, si è disposti a rischiare solo un pochino: sembrerebbe finita la stagione della grande imprenditoria capitalistica. Non è detto che sia un male.

La frammentazione dei mercati, del resto, con canali di vendita che sono i più disparati (negozi, GDO, internet, gruppi di acquisto, ecc) rende estremamente difficile un controllo sistematico del mercato e per sfruttare le opportunità serve oggi più che mai una rete di relazioni e di competenze difficilmente accentrabili in un unico soggetto.

Tenendo le fila del progetto Man on the River siamo venuti in contatto con aziende di molteplici settori: dalle comunicazioni all’arredamento, dai trasporti alla nautica, dai prodotti per l’igiene all’informatica.

E’ un bell’osservatorio, dobbiamo dire.

Per tutti, questo progetto sta diventando la duplice opportunità di mettere in gioco la propria etica, che sarà sempre più un fattore trainante nel mercato, e di costruire relazioni sia con gli altri soggetti partner sia trasmettendo ai propri clienti un senso di appartenenza a qualcosa di nuovo.

Sempre marketing è, però rispetto agli eccessi di convention con Champagne e vacanze premio alle Maldive (non proprio la nostra idea di evoluzione della cultura aziendale), c’è una gran bella differenza.

smart managementAnche ai piani alti sta cambiando qualcosa, dicono: abbiamo recentemente conosciuto Franco Marzo, un ex-manager che propone alle grandi aziende dei percorsi per sensibilizzare i propri dirigenti ad una condotta etica e più orientata all’uomo che non al solo profitto.
Franco utilizza la musica come veicolo per metabolizzare certi valori e percorsi culturali. Potete scoprirne di più su www.smartmanagement.it

Non sappiamo che risultati stia ottenendo, però è un’iniziativa interessante della quale intendiamo seguire gli sviluppi.
 
Non sia mai che si riesca a far diventare un po’ più a misura d’uomo queste multinazionali! Forse se qualcuno ci avesse pensato prima non sarebbe successo il patatrac che tutti ben conosciamo.

Tornando all’argomento principale, sembra che ora come ora le parole “scambio”, “relazione”, “co-marketing” stiano guidando gli orientamenti delle aziende. Certo in Italia sarebbe un bel passo avanti, se consideriamo che i paesi leader tipo la Germania questa cosa l’avevano compresa almeno vent’anni fa, tanto che la loro struttura industriale ha la forza proprio nel raggruppamento.

Siamo fiduciosi: certo c’è un sacco di greenwashing ed ecowashing modaiolo, però piuttosto della corsa al petrolio o allo yuppismo meglio non stare a sottilizzare troppo!

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